Tornati dal triathlon olimpico di Porto Recanati, ci siamo imbattuti nel post di una delle partecipanti: “la felicità è sorridere e non accorgersene. La felicità è esserci”. Dobbiamo dirlo: non c’è niente di più vero. Dopo una settimana di pioggia incessante, chiusi in casa sotto il fuoco del terrore mediatico – finalmente – una perfetta giornata primaverile fatta di fatica e divertimento. Il mare, ascoltare il proprio respiro, filare forte sulla bici: ed è tutto perfetto. Questo è il motivo principale per cui lo sport è così amato, la possibilità di esserci. È un mondo fatto di rapporti personali, sfide, obiettivi e contatto con l’ambiente che ci circonda – l’esatto opposto dell’isolamento, dell’individualismo e del new normal.
Questa è una considerazione che supera le imposizioni e le necessità del momento, che ha dell’antropologico: è venuto meno un intero modo di vivere ingoiato dai processi digitali, dalla velocità e da un linguaggio senza storia. Il rischio è non saper più colmare la distanza tra idea e realtà. Lo sport in questo senso è un baluardo, perché impone un rapporto con i propri limiti – quelli oggettivi – con il proprio corpo e con l’altro, nella sua fisicità. Contraltare dei filtri di Instagram, dei like e della dispercezione di sé che questi creano. Ciò vale persino per chi lo sport semplicemente lo ama, ma non lo pratica: seguire una partita di campionato in streaming, non è come ritrovarsi in curva a cantare (dalla curva la partita spesso nemmeno si vede!), così come è bello trovarsi al Giro e vedere gli atleti scollinare, incitandoli, gioendo con loro. È la differenza tra l’intrattenimento e il partecipare. Le meme, i Tik Tok fanno sorridere, mentre le battute degli amici possono regalarci una giornata indimenticabile.
Sono stati mesi in cui gli italiani hanno fatto l’impossibile per mantere la propria disciplina di allenamento e c’è da ringraziarli. Grazie di continuare ad esserci.